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Discorso sulla bellezza

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Un giorno domandai a mia nipote che cosa intendesse per Bellezza; lei è una brava scrittrice e sceneggiatrice che si dedica anima e corpo alla Bellezza, sia pure quella letteraria e cinematografica.

Mi rispose con un email stringatissimo citandomi una frase tratta  dalle lettere di Van Gogh al fratello: (traduco dal francese) “la bellezza è ciò che non passa”. Mi venne in mente la frase di Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo”. Ammesso che la Bellezza sia il contenuto dell’arte, perché, pensai, per giudicare  un’opera avremmo dovuto aspettare un futuro lontano? Eppure nel nostro tempo più che mai avremmo bisogno di possedere un metro, un’unità di misura che ci permetta di valutare il valore di un’opera che pretende di essere artistica; da che il Novecento ha sovvertito se non abolito i canoni estetici, e nelle arti figurative regna lo strapotere del mercato, per cui si è portati a credere che un’opera sia tanto più bella quanto più alto è il suo costo, abbiamo bisogno di una guida, sia pure soltanto un lumicino, che ci illumini. Non basta affidarci al nostro buono o cattivo gusto, o forse è questo il metro di misura e cade ogni pretesa di universalità dell’arte?

Feci un breve, superficiale excursus sulle teorie dei filosofi. Sono quasi tutti d’accordo sulla “Universalità” della Bellezza, sebbene il Giudizio sia  individuale ed estremamente soggettivo. Armonia, Grazia, Sublime, Emozione, sono tra i termini che ricorrono più frequentemente.

Ricordo che, durante una visita alla Biennale di Venezia, dove dominano le installazioni e ormai sono scomparsi quasi del tutto i quadri e le sculture, lessi davanti a un padiglione lo scritto di un critico d’arte che affermava di aver ricevuto nella visita di quella installazione una forte emozione, e poneva in essa l’esistenza comprovata della Bellezza. Un’idea alquanto barocca questa dell’Arte che stupisce, emoziona. Da parte mia, il novantanove per cento  delle opere  che popolavano i giardini dell’Esposizione non sarebbe stato degno  della mia cantina, che è già abbastanza ingombra di roba vecchia e ciarpame che non porto alla discarica a causa della mia pigrizia. Aspetto piuttosto la prossima visita notturna degli zingari che facciano un buon ripulisti di ogni cosa inutile.

La domanda - cosa sia la Bellezza - mi si è posta a Sassari, scendendo al Corso, farendi al Corso direbbe un Sassarese nel suo dialetto dolce, intessuto d’ironia. Il Corso è la strada che congiunge piazza Azzuni con Corso Vico che è la via della stazione ferroviaria.

E’ leggermente in discesa; a Sassari è impossibile trovare una via perfettamente pianeggiante, essendo la città posta sulle colline, come Roma. Il Corso era agli inizi del Novecento la strada principale, dove di sera si svolgeva il passeggio della gioventù del borgo. Anche mio padre e mia madre vi passeggiarono da giovani, forse su quella via è nato l’amore che non li ha mai abbandonati. Il Corso Vittorio Emanuele Secondo, questo è il nome completo, è la spina dorsale della Sassari vecchia. Notate bene, non si dice città antica o centro storico. Si dice “Sassari vecchia” e la ragione sta nel fatto che questa parte, la più antica della città, è così andata in degrado, così mal tenuta che sembra il corpo di una donna devastato dalla vecchiaia; vecchia appunto.

Scusate la digressione, dovuta forse alla nostalgia e a un malcelato amore per la mia città da cui manco da tantissimi anni.

Per riprendere il discorso, scendevo nel Corso quando vidi all’angolo

di un vicolo un’esposizione di quadri. In mezzo a tanti del tutto insignificanti, ne notai uno che rappresentava degli scarponi eseguiti con eccezionale maestria, di un cuoio perfettamente lucido, le rifiniture, i fori per i lacci, le stringhe perfettamente rappresentate. Mi venne spontanea, quasi obbligata l’associazione d’idee con i famosissimi scarponi di Van Gogh. Perché questo dipinto, mi domandai, vale un centinaio di euro e gli scarponi di Van Gogh milioni di euro? Questi scarponi sono perfetti, chissà quanto tempo e quanta fatica sono costati al pittore! Quelli dell’olandese sono fatti malamente, con colori inverosimili. Perché gli scarponi di Van Gogh sono abitati dalla Bellezza e questi, che sembrano sfoggiare bellezza e perfezione da dietro i cristalli di una vetrina di negozio, sono considerati al massimo una buona opera d’artigianato, di poco valore,  destinati a scomparire nel tempo? Cosa è la bellezza? Arrivai all’incrocio successivo, avrei voluto avventurarmi nell’intrico commovente dei vicoli, tra palazzi dai muri impudicamente denudati dal tempo, abitati  nelle fessure dalla parietaria e dalla ruggine, ma questa domanda mi pungolava privandomi di ogni altro interesse. Decisi di rinviare quella passeggiata e rientrai rapidamente in casa. Andai a consultare una bellissima monografia su Van Gogh che possiedo da tanto tempo e non ricordo per quali strade sia arrivata al mobile dove tengo disordinatamente i libri. Vado alla pagina dei famosi scarponi. Rimango qualche minuto a fissarli: sono certamente belli! Ma perché sono tanto belli, così sgangherati, deformi,  da non riuscire a distoglierne lo sguardo, mentre quelli nuovi e precisi mi davano quasi fastidio, quasi non avrei voluto vederli messi dentro una cornice?

Nei giorni successivi feci altre escursioni nella “Sassari vecchia”.

Direste che fosse la nostalgia a spingermi in quei vicoli poveri e malridotti, che sembrano le vie di un paese africano, abitati come sono quasi esclusivamente da neri. Non era la nostalgia ma piuttosto la curiosità perché non conoscevo per nulla quelle strade. Negli anni della mia permanenza a Sassari le strade che percorrevo erano attorno ai giardini pubblici dove si affacciano le scuole medie, il liceo classico e gli istituti universitari. In quei giardini si faceva il quarto d’ora di ricreazione alle undici e un quarto. Si mangiava un panino o la frittella comprata in un negozietto di via Torretonda.

Quando ero all’università, vi passavo buona parte del mattino  con gli amici a fare quei discorsi che di solito fanno i ragazzi a vent’anni. Di sera, invece, dalle 19 alle 21 era d’obbligo recarsi in piazza d’ Italia dove si svolgeva la passeggiata. Piazza d’Italia è una vastissima piazza, una delle più grandi d’Italia, al cui centro, tra piccole aiuole e panchine si trova Vittorio Emanuele Secondo, mai stanco di rimanere in piedi, da un centinaio d’anni, sul piedistallo di cemento. La passeggiata era allora frequentata esclusivamente dagli studenti, gli adulti sedevano nei bar sotto i portici, due piccole gallerie, dove ci si riparava in tutta fretta quando scoppiavano quei violenti, tiepidi acquazzoni così frequenti a primavera e ad autunno. Per inciso riferisco che, da un’indagine del Corriere della Sera, risulta che Sassari sia la seconda città al mondo per bellezza di clima. Capite? Al mondo! Sassari ha un clima più bello delle isole dei Caraibi e di quelle isole dell’oceano indiano e del Pacifico dove ogni inverno sogniamo di vivere. Voi adesso mi direte che a Sassari tutto è al massimo, tutto è bianco o nero e i grigi non esistono.

Il grigio esiste, eccome! Sono quei quartieri di periferia sorti in tutti questi anni in cui io sono mancato. Quartieri fatti di palazzi anonimi o dall’aspetto insolito, stravagante, dove non oso addentrarmi per paura di perdermi nel grigiore delle strade.

A questo punto è giusto che mi interrompiate domandandomi che cosa c’entra tutto questo con la Bellezza. Eppure tutto ha un significato che capirete presto, quando giungeremo al fondo.

Non potevo fare a meno ogni volta di passare davanti al quadro degli scarponi: erano sempre appesi al muro, nessuno li aveva acquistati e forse nessuno li acquisterà mai. L’enigma che ponevano non si placava nella mia mente. Quel quadro era una sfinge che mi interrogava e i suoi temi non erano così astratti e privi d’importanza come mi erano apparsi  in un primo momento. Sentivo che mi toccavano molto da vicino, pur non sapendo come, e non potevo fare a meno di trovarne la soluzione, anche se fosse stata solamente provvisoria.

Non erano solo quegli scarponi ad accrescere in me il bisogno di risolvere il problema della natura della Bellezza; mi fermavo davanti a scorci di case malandate dove nelle finestre, al posto dei vetri, c’era la carta oleata, i fili elettrici passavano da una finestra all’altra pencolando mollemente, esposti al sole e alle intemperie; l’erba cresceva sul tetto e a fianco a tutto questo, quasi a vegliarne l’indicibile miseria, una giovane palma, una piazzetta con una fontanella esausta.

Mi piaceva! Era in loro quella Bellezza che non mi donavano i palazzi nuovi, ordinati, anonimi, dove non indovinavi pulsare la vita.

Ora giungiamo alla conclusione. Finalmente! Direte voi. Mi scuso di tante lungaggini apparentemente senza significato, ma scrivere è come il poker: le carte si scoprono alla fine.

Ritornando al problema della Bellezza, confesso che a ispirarmi quanto sto per dire  fu la frase famosa di Goethe: “La poesia è un bacio al mondo”. Sostituiamo alla poesia la Bellezza e abbiamo: “La Bellezza è un bacio al mondo”.  Quale relazione d’amore non comincia con un bacio?

La Bellezza è dunque Relazione. Niente canoni estetici, sublime, simmetria, armonia o altro. La Bellezza è solamente, semplicemente Relazione. Noi la sperimentiamo  nel momento in cui entriamo in intima relazione con il mondo che ci circonda. Vedo una casa, una palma, una piazzetta, entro in relazione con loro, “Non so perché mi piace” dico e non mi accorgo che esse mi parlano con un linguaggio subliminale che non arriva alla  coscienza, parole tacite che mi introducono nel loro mondo; un mondo  caldo di umanità.

Nelle strade, nelle piazze, di cui ho scritto prima, posso imbattermi in scorci, angoli, oggetti con cui mi capita d’entrare in relazione; pure un bastone ritorto posso considerare bello! Ci si può imbattere nella Bellezza in ogni angolo di strada, in ogni  momento della vita.

Tornando al problema degli scarponi, ripeto la domanda: “Perché quegli scarponi di poco prezzo, nonostante la precisione con cui sono confezionati, non si possono considerare opera d’arte, perché è negata loro la qualità artistica che è invece assegnata in abbondanza agli scarponi di Van Gogh ?”

Ogni volta che passo nel Corso, cerco con gli occhi quel quadro. Qualcuno, penso, può considerarli dei bei scarponi. La bellezza, la relazione si avvera tra spettatore e oggetto, ma non c’è l’Arte ad aprirti un mondo, a scavare nel tuo mondo interiore. Il fenomeno si limita a questo: possono essere interessanti se devo comprarne un paio di scarponi. Guardo il dipinto di Van Gogh: due scarponi deformati dall’uso, con macchie di colore che potrebbero essere sporcizia o usura della pelle. In verità due brutti scarponi, e tuttavia mi parlano.

Mi parlano di un mondo povero, di un lavoro umile. Mi mettono in relazione col mondo del pittore, col mondo di chi lavora nella campagna, col mondo dei barboni che dormono sulle panchine dei parchi o nelle sale d’aspetto delle stazioni. Mi commuovono.

Quando diciamo che il fine dell’arte è la bellezza, diciamo che essa suscita una relazione tra noi e il mondo che ci circonda, un bacio.

L’arte, con qualsiasi mezzo si crei, funziona da catalizzatore a quella reazione spirituale o forse chimica che è la relazione che noi abbiamo con il mondo e con noi stessi. Più vasto e profondo è il mondo che suscita in noi, più diremmo che quell’opera è universale. L’arte non è universale perché apprezzata da tutti, ma perché essa ci mette in intimo contato con mondi sempre più vasti.

Per finire scopro l’ultima carta.

Un monaco buddista del 2° secolo dopo Cristo, un certo Nagarjuma,

afferma che la realtà non è altro che relazione.

Niente di nuovo sotto il sole.

 

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